Pitagora e il numero maledetto

Tutti lo conosciamo come l’inventore del famoso teorema che si impara a scuola, ma Pitagora era molto di più di teoremi e tabelline: un filosofo, che significa “amante della conoscenza”, e una vera e propria rockstar della matematica (ma non solo)!

Pitagora è nato intorno al 575 a.C. – che è un sacco di tempo fa, per questo motivo non abbiamo la sua data di nascita precisa (e anche perché non svelava mai la sua età) – su un’isola greca chiamata Samo. Sulla sua vita ci sono molti racconti, alcuni molto fantasiosi, e ancora oggi resta un po’ misteriosa. Da giovane vuole diventare un atleta e vincere i giochi di Olimpia, come tutti gli eroi di cui si raccontano le gesta. Ce la fa, sconfiggendo tutti gli avversari, ma viene ricordato per ben altri motivi.

Grazie al lavoro di mercante del papà, Pitagora visita Tiro, impara a fare i conti, a prendere misure e a pesare oggetti. A quei tempi le scuole non esistevano: c’erano dei maestri che insegnavano nei cortili delle case dei ricchi, in piazza o sulla spiaggia. Ma non c’era la campanella a indicare l’inizio e la fine delle lezioni! Pitagora è vissuto in un tempo senza orologi e la giornata era scandita dal Sole e dalle stelle: chissà quanto tempo passavano a studiare!

Una volta cresciuto va a studiare da Talete, un genio della geometria, da cui impara moltissimo e che lo spinge a studiare ancora di più. Va in Egitto a vedere le piramidi, che sono già lì da 2000 anni, e ci resta per più di 20 anni durante i quali i sacerdoti-scienziati gli insegnano tutto quello che sanno. Poi va a Babilonia, dove discute con i saggi del famoso teorema. Tornato a Samo decide di aprire una scuola, in cui insegna ai giovani tutto il suo sapere su geometria, alchimia, musica, fisica, medicina, cosmologia. Arrivano allievi e allieve da vicino e da lontano e poi diffonderanno il sapere: si chiameranno “pitagorici”. Samo è governata da un tiranno e Pitagora, che crede nello studio, nella libertà e nella giustizia, decide di lasciare l’isola per andare in Italia, a Crotone. Qui fonda la Scuola Pitagorica, una delle più importanti scuole nella storia dell’uomo! Gli ultimi anni di vita sono turbolenti e non si sa molto della sua fine, sebbene ci siano molte leggende che ne parlano.

Il mondo di Pitagora è illustrato nel libro “Pitagora e il numero maledetto” di Luca Novelli, volumetto della serie “Lampi di genio” pubblicata da Editoriale Scienza. Alla fine della storia troverai anche un mini-dizionario di termini “pitagorici”.

COSE CHE NON SAI DI VOLER SAPERE:

Il teorema di Pitagora si conosceva già prima della nascita del famoso filosofo e veniva usato dai Babilonesi (molto tempo prima) e dagli Egiziani, ma lui per primo riuscì a dimostrarlo. La Scuola Pitagorica imponeva il segreto: solo i suoi allievi potevano “conoscere”. Non fu, infatti, Pitagora a svelare la dimostrazione del teorema che porta il suo nome, ma un suo allievo che poi fu cacciato.

Margaret Burbidge: la Signora Polvere di Stelle

Nasco nel 1919 a Davenport, nel Regno Unito.

Cresco a Londra, incoraggiata da mamma e papà – entrambi scienziati – a coltivare la mia curiosità e seguire le mie passioni.

A quattro anni, mentre mi sto recando in Francia per una vacanza, durante la traversata notturna del canale della Manica mamma e papà si accorgono che ho il mal di mare e cercano di distrarmi mostrandomi il cielo dall’oblò della cabina. La volta è costellata di puntini luminosi… sono le stelle! Per me, abituata al cielo grigio di Londra, è una visione meravigliosa. L’immagine del cielo stellato resterà per sempre impressa nella mia memoria e mi guiderà quando diventerò grande.

Nel 1936, dopo il diploma, mi iscrivo all’University College di Londra, dove studio astronomia. Nel 1939 mi laureo con il massimo dei voti e dopo qualche anno mi trasferisco negli Stati Uniti.

Nei primi anni Cinquanta, quando provo a fare domanda per entrare all’osservatorio astronomico di Monte Wilson, a Los Angeles, vengo respinta in quanto donna. Per riuscire ad accedere all’osservatorio devo far finta di essere l’assistente di mio marito, anche se in realtà sono io a gestire il telescopio! Assurdo, vero?

La scoperta per cui divento famosa risale al 1957. Quell’anno io e alcuni colleghi pubblichiamo un articolo in cui sosteniamo che quasi tutti gli elementi chimici esistenti in natura si sono formati nelle stelle e, in particolare, nel loro centro più caldo: il nucleo.

Dopo la creazione all’interno delle stelle, gli elementi vengono dispersi nello spazio, quindi si ricombinano per formare altre stelle, pianeti e tutto ciò che esiste, dando inizio a un nuovo ciclo.

Delfini e computer, alberi e virus, rocce e persone: noi e tutto ciò che ci circonda siamo, in un certo senso, polvere di stelle. In inglese “polvere di stelle” si dice “stardust”. Per questo motivo vengo soprannominata Lady Stardust, “Signora Polvere di Stelle”. Mi piace!

Immagine: Nature

Tra il 1972 e il 1973 torno nel Regno Unito per ricoprire, prima donna in assoluto, il ruolo di direttrice dell’osservatorio reale di Greenwich, il più importante osservatorio astronomico del mondo!

Nel 1988 vado in pensione, ma in realtà continuo a lavorare ancora a lungo. Vivo ben 100 anni e nel corso della mia lunga carriera conduco tantissime ricerche sull’universo. Partecipo anche alla progettazione di un telescopio che viene lanciato nello spazio, chiamato Hubble.

Credo di aver reso felice quella bambina che tanti anni fa vide le stelle dall’oblò di una nave.

Brenda Milner, la scienziata che ha spiegato come funziona la memoria

Nasco nel 1918 a Manchester, nel Regno Unito.

Fino ai 9 anni studio a casa con mio papà, critico musicale e pianista che mi insegna tante cose, per esempio a parlare in tedesco.

Sono una ragazza curiosa e con tanti interessi. A scuola mi appassiono all’arte e alla letteratura, ma dopo il diploma decido di iscrivermi a una facoltà scientifica.

Seguo i corsi di matematica del prestigioso Newnham College di Cambridge, ma dopo poco mi rendo conto non è quella la mia strada. Decido così di studiare psicologia, la disciplina che studia la mente umana.

Dopo la laurea lavoro al Montreal Neurological Institute, in Canada. Qui studio quello che succede alla nostra mente quando il cervello subisce dei danni.

Nel 1953 vengo contattata da William Scoville, un neurochirurgo (ovvero un medico che opera i pazienti al cervello) che mi chiede di studiare il caso di un paziente molto particolare, Henry Molaison, da poco sottoposto a un intervento chirurgico sperimentale per curare una grave malattia.

L’intervento, che consiste nell’asportazione di una piccola porzione di cervello, va bene. Dopo poco tempo il paziente sviluppa una forma molto particolare di amnesia, ovvero perdita della memoria. Ricorda tutto quello che è successo nella sua vita prima dell’operazione, ma non riesce a trattenere nessun ricordo di quello che è accaduto dopo.

Dispiaciuta e incuriosita, decido di sottoporre il signor Molaison a una serie di test. Gli chiedo, per esempio, di disegnare una stella mentre si guarda allo specchio. Scopro così che i risultati migliorano di giorno in giorno. Il signor Molaison è sempre più bravo a disegnare la stella, anche se non ricorda di essersi esercitato nei giorni precedenti.

Questa ricerca mi consente di dimostrare che il nostro cervello è fatto di tante aree, ognuna delle quali è specializzata in un tipo diverso di memoria. Il signor Molaison non riesce a trattenere i ricordi, ma in lui è ancora presente una forma di apprendimento automatico, legato a zone diverse del cervello, grazie al quale impara a disegnare sempre meglio la stella.

Nel 1957 esce un articolo in cui parlo dei risultati della mia ricerca. È un testo importantissimo, studiato da psicologi e neuroscienziati di tutto il mondo.

Oggi ho 102 anni, ma non mi sento per niente stanca. Il 15 luglio del 2018, in occasione dei festeggiamenti per il mio centesimo compleanno, ho dichiarato di avere “tutta l’intenzione di continuare per molti altri compleanni”.

Lise Meitner, la scienziata innamorata della fisica

Nasco a Vienna nel 1878. Cresco in una famiglia benestante e molto numerosa: sono la terza di otto figli, cinque femmine e tre maschi! Mia mamma è una musicista molto brava, mio papà un importante avvocato.

Sin da piccola ho due grandi passioni: la musica e la scienza. A otto anni tengo un libro di matematica sotto il cuscino e passo ore a chiedermi quali siano le cause dei riflessi colorati di una chiazza di olio in una pozzanghera.

A scuola sono molto brava, ma ai miei tempi le ragazze che amano studiare e vogliono andare all’università non hanno molte possibilità. Dopo il diploma mi iscrivo in un istituto per diventare insegnante di francese; non ho un particolare interesse per le lingue, ma non ci sono alternative.

Nel 1899, però, viene approvata una legge che consente alle donne di accedere all’università. Mi metto a studiare con grande impegno e in poco tempo recupero ben otto anni! Nell’ottobre del 1901, poco prima di compiere 23 anni, supero il test di ammissione all’università. Sono felice!

Non so ancora se diventerò una fisica o una matematica, così nel dubbio studio entrambe le materie. Alla fine, grazie alle lezioni del professor Ludwig Boltzmann, mi appassiono alla fisica. Dopo la laurea, nel 1906, per un po’ faccio due lavori: la mattina insegno in una scuola per ragazze, il pomeriggio collaboro con Stefan Meyer, che mi fa interessare alla radioattività.

Di cosa si tratta? È difficile da spiegare, ma in parole povere è un fenomeno grazie al quale gli atomi di alcuni elementi chimici si trasformano in altri elementi, che possono emettere tanti tipi di particelle (cioè radiazioni) diverse. Per questo motivo sono chiamati radioattivi.

Mi trasferisco a Berlino, dove nel 1907 incontro il chimico Otto Hahn. Con lui studierò la radioattività per oltre 30 anni!  I primi tempi sono difficili – all’epoca le scienziate non sono viste di buon occhio – ma quando inizio a fare importanti scoperte sugli elementi radioattivi ottengo i primi riconoscimenti. Nel 1919 sono la prima donna tedesca a diventare professoressa all’università.

Nel frattempo sale al potere Adolf Hitler e la vita diventa sempre più difficile, soprattutto per le persone di origine ebraica come me. Nel 1938 sono costretta a fuggire dall’Austria e, dopo varie peripezie, raggiungo Stoccolma, dove vive il figlio di una delle mie sorelle, il fisico Otto Frisch.

Durante una passeggiata tra i boschi, a me e a Otto viene un’idea geniale: la fissione nucleare! Se si rompe il nucleo di un atomo molto pesante, questo si divide in nuclei di atomi più leggeri, rilasciando una grande quantità di energia.

Si tratta di una delle scoperte più importanti di sempre, per la quale ricevo tanti riconoscimenti. Avrei meritato anche il Nobel, ma i premi non sono poi così importanti. Quel che conta è fare ciò che si ama. E io amo la fisica con tutto il cuore.

Marina Ratner: la matematica non è solo per giovani

Nasco a Mosca, in una famiglia di religione ebraica, nel 1938.

Nel mio Paese, l’Unione Sovietica, gli ebrei sono discriminati. Mia mamma, una chimica, viene licenziata per via di uno scambio di lettere con i suoi parenti in Israele; anche mio papà, importante scienziato, rischia di perdere il suo posto di lavoro presso l’Accademia delle Scienze per il solo fatto di essere ebreo.

Da grande voglio diventare una matematica, ma a causa delle discriminazioni nei confronti degli ebrei ho tanta paura di non riuscire a realizzare il mio sogno.

Per fortuna, a partire dagli anni Cinquanta, le cose cambiano un po’. L’università statale di Mosca apre le porte agli studenti di religione ebraica e io finalmente riesco a iscrivermi alla facoltà di matematica.

Nel 1961 mi laureo col massimo dei voti e subito dopo entro a far parte del gruppo di ricerca del grande matematico Andrej Kolmogorov. Dopo il dottorato, ottenuto nel 1969, trovo lavoro come insegnante in una scuola per ingegneri di Mosca.

Nel 1971 mi trasferisco in Israele. All’università ebraica di Gerusalemme riesco a insegnare e a condurre le mie ricerche, anche se devo affrontare mille difficoltà dovute al fatto che in tanti non prendono sul serio il mio lavoro perché sono una donna. Che sciocchi!

A Gerusalemme conosco Rufus Bowen, professore di matematica a Berkeley, negli Stati Uniti. Il professor Bowen, colpito dalle mie capacità, mi convince ad andare a insegnare nella sua università. Nel 1975 mi trasferisco a Berkeley, dove resto sino alla fine della mia carriera.

Mi vergogno un po’ a dirlo, perché sono sempre stata una persona molto umile, ma i miei teoremi matematici sono davvero geniali. Tra il 1990 e il 1995 elaboro quelli più importanti, per i quali sono considerata una delle più grandi matematiche del Novecento.

Ah, dimenticavo: a quell’epoca ho già più di 50 anni!

In tanti pensano che la matematica non sia una disciplina per persone oltre una certa età. In effetti alcuni tra i più grandi matematici della storia hanno scritto i loro teoremi e le loro dimostrazioni da giovanissimi.

Secondo molti il talento e la bravura, in questo settore più che in altri, diminuiscono quando si invecchia. Io credo di aver dimostrato che le cose non stanno così. La curiosità, la voglia di scoprire e l’intelligenza non hanno età. Non è mai troppo tardi!

Rosalyn Yalow, il premio Nobel cresciuto nel Bronx

Nasco a New York nel 1921.

Cresco nel Bronx, uno dei quartieri più poveri della città. Mio papà e mia mamma non hanno completato le scuole dell’obbligo, ma fanno di tutto perché io abbia la possibilità di studiare.

Inizio a leggere da piccolissima, prima ancora di iniziare la scuola divoro i libri presi in prestito alla biblioteca comunale.

A otto anni so già di voler diventare una scienziata. A scuola sono la prima della classe in matematica e chimica. Dopo il liceo mi iscrivo all’Hunter College, istituto per ragazze della New York University. In quegli anni mi appassiono alla fisica, che per me è “la disciplina più eccitante del mondo”.

Nel gennaio del 1941, a soli 19 anni, divento la prima studentessa nella storia dell’Hunter College a laurearsi in fisica. Avrei tutte le carte in regola per proseguire i miei studi come assistente universitaria, ma non è così semplice.

All’epoca non sono in molti a prendere sul serio una donna che vuole lavorare all’università, infatti invio tante domande senza ottenere risposta. Dopo vari tentativi, però, l’Università dell’Illinois decide di assumermi. La mia è l’unica presenza femminile su oltre 400 tra ricercatori, professori e assistenti.

Non sono pochi i problemi che devo affrontare per il solo fatto di essere donna. In una prova di laboratorio prendo A-, un voto che corrisponde a 9 su 10. Il direttore del dipartimento di fisica, però, dichiara che non va bene, perché non è il massimo. Secondo lui questa è la dimostrazione che le donne non sono adatte a lavorare in laboratorio. Che sciocco! Io non mi abbatto e vado avanti.

Mi laureo con il massimo dei voti, quindi mi trasferisco a New York. Per qualche anno insegno fisica all’università, ma nel 1950 lascio l’insegnamento e con Solomon Berson, un medico in servizio presso un ospedale di New York, mi dedico interamente alla ricerca.

Decido di far fruttare le mie conoscenze in fisica per aiutare la medicina. Io e Solomon lavoriamo insieme per tanti anni e nel 1959 sviluppiamo una nuova tecnica, chiamata RIA, grazie alla quale è possibile indviduare nei pazienti il diabete e tante altre malattie.

Grazie alla RIA, nel 1977 ricevo il premio Nobel per la medicina. Sono la seconda donna nella storia a ottenerlo, trent’anni dopo la biologa Gerty Cori. Non male, per una ragazzina cresciuta nel Bronx!

Rita Levi-Montalcini, la scienziata italiana che ha vinto il premio Nobel

Nasco a Torino, assieme alla mia gemella Paola, il 22 aprile 1909.

Cresco in un ambiente ricco di stimoli. Mia sorella maggiore Anna mi trasmette la passione per la letteratura, tanto che da bambina sogno di diventare una scrittrice. Ben presto, però, scopro di avere una passione per la scienza.

Pur rispettando le sue tre figlie, mio papà è una persona all’antica e crede che l’unico compito delle donne sia quello di dedicarsi alla famiglia. In un primo momento mi adeguo, ma a vent’anni capisco di non poter più rinunciare ai miei sogni. Ottengo il permesso di proseguire gli studi e in soli otto mesi riesco a colmare le mie lacune in latino, greco e matematica.

Nel 1930 accedo alla scuola di medicina dell’Università di Torino, dove nel 1936 mi laureo col massimo dei voti. Indecisa fra la carriera di medico e quella di ricercatrice, decido di specializzarmi in neurologia e psichiatria.

Nel frattempo il regime fascista conduce una politica discriminatoria nei confronti degli ebrei, che nel 1938 culmina nella promulgazione delle leggi razziali. Io appartengo a una famiglia di religione ebraica e sono costretta a trasferirmi a Bruxelles, in Belgio.

Nel 1940, nel pieno della seconda guerra mondiale, rientro a Torino. Per evitare di dare nell’occhio allestisco dentro casa un piccolo laboratorio in cui conduco le mie ricerche. Nell’autunno del 1943, dopo l’occupazione nazista di Torino, fuggo con la famiglia a Firenze e per un periodo vivo in clandestinità.

Finita la guerra rientro nella mia città natale e riprendo il lavoro all’università, finché nel 1947 il medico Viktor Hamburger mi invita a trascorrere un periodo alla Washington University di St. Louis, negli Stati Uniti, per condurre ricerche sullo sviluppo del sistema nervoso nei polli.

Divento professoressa alla Washington University e per anni faccio avanti e indietro fra gli Stati Uniti e l’Italia, dove conduco le mie ricerche e ricopro vari incarichi per il CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Mi occupo soprattutto di individuare i meccanismi che portano alla differenziazione dei neuroni, le cellule del nostro cervello. Nel 1952 effettuo una serie di esperimenti che mi consentono di scoprire il modo in cui crescono le cellule nervose; l’anno successivo, assieme al giovane scienziato Stanley Cohen, identifico per la prima volta una delle molecole responsabili dello sviluppo e del differenziamento del sistema nervoso. Grazie a questa scoperta, nel 1986 ottengo – assieme a Cohen – il premio Nobel per la medicina.

Nel corso della mia lunghissima vita, durata ben 103 anni, ottengo tanti riconoscimenti importanti, fra cui la National Medal of Science, conferitami nel 1987, e la nomina a senatrice a vita della Repubblica Italiana per i miei meriti in campo scientifico e sociale, nel 2001.

Ippocrate, medico in prima linea

Hai mai sentito parlare del giuramento di Ippocrate? È un giuramento che i medici devono rispettare durante la loro carriera e che prevede il rispetto del paziente e della vita umana.

Risale al tempo dell’Antica Grecia quando Ippocrate, “papà” della medicina moderna, lo faceva pronunciare ai suoi giovani allievi diventati ormai medici, per poi brindare tutti insieme con vino e miele mangiando dolcetti alle mandorle. Al giorno d’oggi la laurea si festeggia in un modo un po’ diverso, ma è l’idea è quella!

Ma torniamo a Ippocrate. La sua famiglia era di origini nobili e tutti si occupavano di medicina: il papà era medico e anche i nonni, gli zii e i cugini. Insomma, ai pranzi in famiglia non si parlava d’altro! Chiamarla medicina è però forse un po’ strano per noi, perché quelli che allora erano definiti medici, erano i sacerdoti del dio della medicina Asclepio, che si diceva fosse antenato di Ippocrate e che dava anche il nome alla famiglia (Asclepiadi). Purtroppo, le conoscenze sul corpo umano erano ancora poche e, pur avendo salvato molte vite, potevano fare poco per i malati. Tutto ciò che venne studiato allora è però la base della medicina che conosciamo oggi e che ci permette di sconfiggere molte malattie.

Ippocrate è stato il primo ad abbandonare la magia, ad ammettere che la medicina è una scienza e a farsi un sacco di domande per capire qualcosa in più del mondo che lo circondava. La curiosità è stata il suo punto di forza e gli ha permesso di scoprire un sacco di cose sulle malattie, sull’ambiente, sull’igiene e sull’importanza dell’alimentazione e dell’attività fisica per la salute. Nell’Antica Grecia solo chi apparteneva alla famiglia degli Asclepiadi poteva diventare medico, ma Ippocrate ha deciso di insegnare a chiunque fosse interessato alla materia e i suoi allievi hanno continuato la sua opera in tutto il Mediterraneo e nel vicino Oriente, rispettando il famoso giuramento che porta il suo nome e scrivendo un pezzetto di storia della medicina.

La storia di Ippocrate è raccontata per filo e per segno, dall’infanzia ai suoi viaggi, nel libro “Ippocrate – medico in prima linea” di Luca Novelli, volumetto della serie “Lampi di genio” pubblicata da Editoriale Scienza e adatta dagli 8 anni in su. Alla fine della storia troverai anche un mini-dizionario di termini medici antichi e moderni.

COSE CHE NON SAI DI VOLER SAPERE:

Ti sei mai chiesto come mai il simbolo sull’insegna delle farmacie è un serpente arrotolato su un bastone (circondato dalla croce verde)? Perché quello è il bastone di Asclepio (o di Esculapio, il corrispondente nome latino), l’antenato di Ippocrate e dio della medicina, ed è considerato ancora oggi il simbolo della professione medica.

Cathleen Synge Morawetz e il teorema che rende le ali più resistenti

Nasco nel 1923 a Toronto, da genitori irlandesi, entrambi laureati in matematica.

Con due genitori così, non stupisce che mi sia interessata sin da piccola alla matematica. Mia mamma mi incoraggia sin dalla più tenera età a coltivare e a far crescere il mio talento. Mio papà, dal canto suo, scherza: “se diventerai una matematica finiremo per litigare come i fratelli Bernoulli” (due famosi matematici del 1600, a quanto pare molto litigiosi).

Dopo una prima laurea in matematica, conseguita col massimo dei voti nel 1945, penso di iscrivermi al Caltech di Pasadena, in California. A quei tempi però quell’università, come tante altre, non accetta studentesse.

Per un po’ penso di cambiare vita – voglio abbandonare gli studi e andare a insegnare matematica in India – ma poi Cecilia Krieger, amica di famiglia e professoressa di matematica all’università di Toronto, mi convince a non mollare. Decido quindi di fare domanda per una borsa di studio presso il Canadian University Women’s Club, organizzazione canadese che aiuta le ragazze come me a non rinunciare ai propri sogni.

Immagine: Courant Institute, NYU

A volte basta un consiglio giusto di un’amica per cambiare vita! Ottengo la borsa di studio e decido di restare all’università. Mi iscrivo al MIT di Boston, uno dei più importanti centri di ricerca del mondo, e nel 1946 mi specializzo in matematica.

Dopo la laurea al MIT, mi trovo nuovamente di fronte a una scelta complicata: proseguire gli studi o cercare lavoro? Alla fine decido di continuare a studiare e diventare una scienziata. È Cecilia Krieger, ancora una volta, a convincermi a prendere questa decisione.

Divento una ricercatrice del Courant Institute di New York, dove resto per oltre trent’anni, prima come professoressa e poi, dal 1984 al 1988, come direttrice; sono la prima donna in assoluto a ricoprire questo incarico.

Al Courant Institute studio il flusso d’aria che si crea attorno alle ali degli aeroplani e faccio molte scoperte interessanti. Quando un aereo si avvicina alla velocità del suono, per esempio, l’aria non scorre in maniera omogenea, ma a velocità diversa a seconda del punto dell’ala; questa differenza di velocità produce il cosiddetto flusso transonico, in parte più veloce del suono e in parte più lento.

Mi occupo di questo argomento per tanti anni ed elaboro un teorema matematico che oggi porta il mio nome, teorema di Morawetz, grazie al quale gli ingegneri che progettano gli aeroplani possono realizzare ali molto più sicure e resistenti.

Marie Curie e i segreti atomici svelati

Marie Curie fu la prima a studiare la radioattività e a isolare due nuovi elementi chimici, prima sconosciuti. Tutto molto bello, ma cos’è la radioattività? La prima definizione l’ha data il fisico Ernest Rutherford, che la definì come una disgregazione spontanea di atomi. La radioattività ha portato alla scoperta della struttura dell’atomo e all’energia nucleare: una vera rivoluzione per il mondo scientifico!

Nata nel 1867 in quella che oggi si chiama Polonia, era la più piccola di 5 fratelli ed era molto brava a scuola. In quegli stessi anni, un chimico russo – Dmitri Mendeleev – aveva creato la tavola periodica, mettendo in ordine gli elementi conosciuti. Nessuno avrebbe pensato che la piccola Marie avrebbe contribuito a riempirla, ma accadde davvero!

A 24 anni si è trasferita in Francia, dove la scienza era all’avanguardia e dove sembrava tutto diverso. Dopo la laurea in fisica alla Sorbona, vinse anche una borsa di studio per proseguire gli studi. Incontrò Pierre Curie, suo futuro marito, e fu una delle poche persone al mondo in grado di capire davvero di cosa si occupasse. Dopo aver avuto una bimba, Irène, iniziarono a occuparsi della radioattività: all’inizio studiarono uranio e torio, ma poi scoprirono due nuovi elementi, il polonio, così chiamato per ricordare la terra di origine della scienziata, e il radio, da radium che vuol dire raggio in latino.

Dopo Irène nacque anche Eve. Marito e moglie iniziarono però ad avere problemi di salute perché la radioattività è molto pericolosa se non si usano protezioni adeguate. Purtroppo, Pierre rimase vittima di un’incidente con una carrozza trainata da cavalli e Marie continuò i suoi esperimenti da sola.

Marie Curie è stata anche amica di Albert Einstein, considerato il “più grande scienziato della storia”, ed era convinta che la scienza dovesse essere al servizio di tutti. Proprio per questo non volle brevettare il processo di estrazione del radio, ma condivise le istruzioni gratis. A quel tempo non sapeva che, grazie ai suoi studi, avrebbero costruito la bomba atomica.

I segreti degli atomi e della vita della famiglia Curie sono descritti nel libro “Marie Curie e i segreti atomici svelati” scritto da Luca Novelli, volumetto della serie “Lampi di genio” pubblicata da Editoriale Scienza. Alla fine della storia troverai anche un mini-dizionario di termini “radioattivi”.

COSE CHE NON SAI DI VOLER SAPERE:

Marie Curie è stata la prima donna a ricevere un Premio Nobel per la fisica e l’unica ad averne vinti due! Infatti, qualche anno dopo il primo per la fisica, ne ha vinto anche uno per la chimica. Inoltre, anche la figlia Irène e suo marito vinsero insieme il Premio Nobel per la chimica. Proprio una famiglia da Nobel!