Nasco a New York nel 1921. Cresco nel Bronx, uno dei quartieri più poveri della città. Mio papà e mia mamma non hanno completato le scuole dell’obbligo, ma fanno di tutto perché io abbia la possibilità di studiare. Inizio a leggere da piccolissima, prima ancora di iniziare la scuola divoro i libri presi in prestito […]

Nasco a New York nel 1921.

Cresco nel Bronx, uno dei quartieri più poveri della città. Mio papà e mia mamma non hanno completato le scuole dell’obbligo, ma fanno di tutto perché io abbia la possibilità di studiare.

Inizio a leggere da piccolissima, prima ancora di iniziare la scuola divoro i libri presi in prestito alla biblioteca comunale.

A otto anni so già di voler diventare una scienziata. A scuola sono la prima della classe in matematica e chimica. Dopo il liceo mi iscrivo all’Hunter College, istituto per ragazze della New York University. In quegli anni mi appassiono alla fisica, che per me è “la disciplina più eccitante del mondo”.

Nel gennaio del 1941, a soli 19 anni, divento la prima studentessa nella storia dell’Hunter College a laurearsi in fisica. Avrei tutte le carte in regola per proseguire i miei studi come assistente universitaria, ma non è così semplice.

All’epoca non sono in molti a prendere sul serio una donna che vuole lavorare all’università, infatti invio tante domande senza ottenere risposta. Dopo vari tentativi, però, l’Università dell’Illinois decide di assumermi. La mia è l’unica presenza femminile su oltre 400 tra ricercatori, professori e assistenti.

Non sono pochi i problemi che devo affrontare per il solo fatto di essere donna. In una prova di laboratorio prendo A-, un voto che corrisponde a 9 su 10. Il direttore del dipartimento di fisica, però, dichiara che non va bene, perché non è il massimo. Secondo lui questa è la dimostrazione che le donne non sono adatte a lavorare in laboratorio. Che sciocco! Io non mi abbatto e vado avanti.

Mi laureo con il massimo dei voti, quindi mi trasferisco a New York. Per qualche anno insegno fisica all’università, ma nel 1950 lascio l’insegnamento e con Solomon Berson, un medico in servizio presso un ospedale di New York, mi dedico interamente alla ricerca.

Decido di far fruttare le mie conoscenze in fisica per aiutare la medicina. Io e Solomon lavoriamo insieme per tanti anni e nel 1959 sviluppiamo una nuova tecnica, chiamata RIA, grazie alla quale è possibile indviduare nei pazienti il diabete e tante altre malattie.

Grazie alla RIA, nel 1977 ricevo il premio Nobel per la medicina. Sono la seconda donna nella storia a ottenerlo, trent’anni dopo la biologa Gerty Cori. Non male, per una ragazzina cresciuta nel Bronx!

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